IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta nel ruolo generale dell'anno 2007 al numero 34608, promossa da Bruno Giovanni (avv. Luca Pardo), contro il Ministero delle comunicazioni (Avvocatura dello Stato), avente ad oggetto: reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso l'ordinanza emessa dal giudice del lavoro di questo Tribunale in data 5 aprile 2007 nel giudizio n. 251232/2007 R.G.A.C. Il Tribunale, a scioglimento della riserva di cui all'udienza del 28 giugno 2007, letti gli atti di causa, esaminata la documentazione prodotta e viste le istanze ed eccezioni delle parti; Premesso che con ricorso del 16 maggio 2007 il ricorrente in epigrafe indicato - dirigente viceprefetto aggiunto dal 17 giugno 2000 ai sensi dell'art. 34, d.lgs. n. 139/2000 - ha proposto tempestivo reclamo avverso l'ordinanza in oggetto con la quale il giudice del lavoro di questo tribunale, dallo stesso adito in via d'urgenza con ricorso del 20 febbraio 2007, aveva respinto la domanda volta ad ottenere «l'immediata reintegra ... nell'incarico di direttore della Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione del Ministero delle comunicazioni», conferitogli con d.P.C.m. n. 3775/2005 del 25 novembre 2005, ai sensi dell'art. 19, comma 4 e 5-bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, «e nel relativo contratto individuale di lavoro» stipulato con il predetto Ministero in pari data per la durata di 5 anni e revocato anticipatamente con comunicazione del Segretario Generale del 4 dicembre 2006 (in applicazione del disposto dell'art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2006, n. 286, che, modificando l'art. 19, comma 8, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, aveva introdotto una decadenza automatica dagli incarichi di funzione dirigenziale «di cui al comma 3, al comma 5-bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23 ed al comma 6», i quali «cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo», nonche', «in sede di prima applicazione» della norma sopra modificata, una decadenza una tantum degli incarichi dirigenziali conferiti prima del 17 maggio 2006 «ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto»); che, a sostegno del reclamo, il ricorrente ha in sostanza riproposto gli stessi motivi gia' indicati in ricorso in ordine sia al fumus boni juris (per altro ritenuto sussistente dallo stesso giudice reclamato) che al periculum in mora; che in particolare il predetto, quanto al requisito del fumus boni juris, ha innanzi tutto ribadito l'inapplicabilita' nel caso di specie della norma dell'art. 2, commi 159 e 161 del d.l. n. 262/2006, sostenendo di far parte dei dirigenti appartenenti «ai ruoli di cui all'art. 23» del predetto d.lgs. n. 165/2001 (espressamente esclusi dall'ambito di applicabilita' della decadenza automatica in esame); che lo stesso ha in ogni caso contestato la legittimita' della revoca in questione «poiche' priva di qualsivoglia valutazione e motivazione della scelta del Ministero di serbare il silenzio giovandosi degli effetti dello stesso» derivanti dall'applicazione dell'art. 2, comma 161, del gia' citato d.l. n. 262/2006, con cio' violando, tra l'altro, i principi di cui agli artt. 97 e 98 della Costituzione ed «adombrando il sospetto di illegittimita' costituzionale della previsione normativa» in questione (cosi' testualmente nel ricorso ex art. 700 c.p.c.), cosi' come per altro affermato, da ultimo, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 103/2007 del 19 marzo 2007, che aveva dichiarato incostituzionale la norma dell'art. 3, comma 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145 (contenente un meccanismo di spoils system del tutto analogo a quello in questa sede in esame); che, infine, il ricorrente ha sostenuto la sussistenza del requisito del cd. periculum in mora sotto i profili del danno alla carriera ed all'immagine, del danno patrimoniale e del danno alla salute; che, instauratosi ritualmente il contraddittorio, il Ministero delle comunicazioni si e' nuovamente costituito in giudizio ed ha invocato il rigetto dell'avverso reclamo, ribadendo l'insussistenza di entrambi i requisiti di legge per l'ottenimento del provvedimento d'urgenza richiesto; che parte reclamata, quanto in particolare al fumus boni juris, ha sostenuto: - la piena applicabilita' al ricorrente della norma dell'art. 2, comma 159, del d.l. n. 262/2006, facendo egli parte del c.d. «personale in regime di diritto pubblico» ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 165/2001 (la cui disciplina e' dettata in linea generale dal d.lgs. n. 139/2000, cosi' come modificato dall'art. 7 del d.l. n. 83/2002, convertito in legge n. 133/2002) e non rientrando, pertanto, all'interno dei ruoli dirigenziali del Ministero dell'interno ex art. 23 del d.lgs. n. 165/2001; - la non estensibilita' del dictum della Corte Costituzionale sull'art. 3, comma 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145, al caso di specie; - l'incompatibilita' del giudizio cautelare con il vaglio delle questioni di legittimita' costituzionale; Rilevato che, a norma dell'art. 700 c.p.c., costituisce requisito di ammissibilita' della domanda di provvedimento atipico d'urgenza l'esistenza di un «fondato motivo di temere che, durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile»; che il ricorrente e' un dirigente viceprefetto aggiunto all'interno dell'unitaria carriera prefettizia (ai sensi degli artt. 1, 2 e 34 del d.lgs. n. 139/2000); che lo stesso ha ottenuto, con d.P.C.m. n. 3775/2005 del 25 novembre 2005 ed ai sensi dell'art. 19, comma 4 e 5-bis, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il conferimento dell'incarico di direttore della Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione del Ministero delle comunicazioni per la durata di 5 anni; che, in relazione a tale incarico, e' stato posto «in aspettativa senza assegni con riconoscimento dell'anzianita' di servizio» con decreto del capo del Dipartimento per gli affari interni e territoriali dell'8 maggio 2006; che, con comunicazione del segretario generale del 4 dicembre 2006, l'incarico in questione gli e' stato anticipatamente revocato «con decorrenza immediata» in applicazione del disposto dell'art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2006, n. 286; Atteso che, a norma dell'art. 19, comma 8, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (cosi' come modificato art. 2, comma 159, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2006, n. 286), «gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali di cui al comma 3» (c.d. incarichi apicali), «al comma 5-bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23» (c.d. ruolo unico della dirigenza statale), «e al comma 6, cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo»; che inoltre, a norma dell'art. 2, comma 161, del predetto d.l. n. 262/2006, «in sede di prima applicazione dell'art. 19, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato ed integrato dai commi 159 e 160 del presente articolo, gli incarichi ivi previsti, conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (...)»; che infine, ai sensi dell'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, il personale appartenente alla carriera prefettizia resta disciplinato dal proprio ordinamento pubblicistico, in deroga alle disposizioni sulla cd. privatizzazione o contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti, anche di livello dirigenziale, delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti ed istituzioni di cui all'art. 2 del medesimo decreto; Ritenuto che, alla luce del chiaro disposto della norma da ultimo citata, l'odierno ricorrente non possa condivisibilmente sostenere, in questa sede, di far parte del «personale ... appartenente ai ruoli di cui all'articolo 23» del predetto d.lgs. n. 165/2001 del Ministero dell'interno ai fini dell'esclusione dall'ambito di applicazione della norma del sopra citato art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262 (convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2006 n. 286), riguardando tale norma unicamente i dirigenti cd. contrattualizzati (gia' appartenenti al cd. ruolo unico della dirigenza statale, soppresso dalla legge n. 145/2002) ed appartenendo egli, viceversa, alla diversa categoria dei dirigenti della unitaria carriera prefettizia, che, pur rientrante nell'ambito dell'amministrazione dell'interno, e' autonoma rispetto ad essa e «si articola nelle qualifiche di prefetto, viceprefetto e viceprefetto aggiunto» (cosi' l'art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 139/2000 nonche', per la disciplina transitoria, l'art. 34 del medesima decreto), restando disciplinata dal proprio ordinamento pubblicistico (a norma del gia' citato art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001); che, a conferma della correttezza della suesposta conclusione, ben possa inoltre richiamarsi il disposto dell'art. 15 del d.lgs. n. 165/2001, il quale, nel prevedere l'articolazione della dirigenza contrattualizzata nelle due fasce del suddetto ruolo unico (ed ora dei distinti ruoli dei singoli Ministeri), ha espressamente previsto la salvezza delle particolari disposizioni concernenti, tra l'altro, la carriera prefettizia; che pertanto, anche ove sia stato chiamato a ricoprire - come nella specie - un incarico nei ruoli della dirigenza contrattualizzata ai sensi dell'art. 19, comma 5-bis, del d.lgs. n. 165/2001, il dirigente della carriera prefettizia mantenga sempre il proprio particolare status pubblicistico (anche in punto di sistema di progressione ed avanzamento in carriera), che gli impedisce, per quanto in questa sede occupa, di ottenere l'equiparazione ai dirigenti contrattualizzati ai fini della inapplicabilita' del meccanismo di spoils system introdotto dalla norma sopra citata; Considerato che tuttavia la norma dell'art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2006, n. 286), modificando il disposto dell'art. 19, comma 8, del d.lgs. n. 165/2001 ed introducendo, anche per gli incarichi di funzioni dirigenziali di cui al comma 5-bis (che in questa sede occupa) un meccanismo di decadenza automatica dall'incarico dirigenziale (analogo a quello introdotto dall'art. 3, comma 7 della legge n. 145/2002, per gli incarichi di funzioni dirigenziali di livello generale), si ponga in palese contrasto con il disposto dell'art. 21 del medesimo decreto, a norma del quale la revoca dell'incarico dirigenziale puo' avvenire solo all'esito di apposita procedura di rilevamento della responsabilita' dirigenziale, da effettuarsi con i sistemi e le garanzie di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 286/1999, vale a dire attraverso la verifica del raggiungimento o meno, da parte del dirigente, degli obiettivi fissati al momento del conferimento dell'incarico stesso (di cui all'art. 19, comma 2,del medesimo decreto), ovvero dell'osservanza o meno delle direttive ricevute dall'organo politico; che la Corte costituzionale, gia' con la sentenza n. 313 del 1996, abbia avuto modo di affermare che la c.d. contrattualizzazione della dirigenza non consenta alla p.a. di recedere liberamente dal rapporto instaurato con un dirigente non generale, in quanto cio' comporterebbe l'instaurazione di un rapporto strettamente fiduciario tra le parti che non consentirebbe al dirigente stesso di svolgere in modo autonomo ed imparziale la propria attivita' gestoria, ontologicamente funzionalizzata al rispetto dei principi generali di imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost.; che tale affermazione di principio ben possa estendersi al rapporto instauratosi tra la p.a. e un dirigente cui sia stato, affidato, come nella specie, un incarico di livello immediatamente superiore; che inoltre anche il rapporto di ufficio, pur se caratterizzato, come nella specie, dalla temporaneita' dell'incarico, «debba essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuita' dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione» (cosi' testualmente Corte cost. 23 marzo 2007 n. 103, la quale ha da ultimo dichiarato l'illegittimita' costituzionale del sopra citato art. 3, comma 7, della legge n. 145/2002, nella parte in cui disponeva che gli incarichi di funzioni dirigenziali di livello generale cessassero automaticamente «il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore» della legge stessa. In senso analogo si veda pure Corte cost. 23 marzo 2007 n. 104, la quale, nel dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni introdotte dalla regione Lazio con riguardo all'estinzione del rapporto di lavoro dei dirigenti generali delle aziende sanitarie locali, ha confermato che il rispetto dei principi di imparzialita' e di buon andamento dell'azione amministrazione esigono che «la posizione del direttore generale sia circondata da garanzie; in particolare che la decisione dell'organo politico relativa alla cessazione anticipata dall'incarico del direttore generale di aziende sanitarie locali rispetti il principio del giusto procedimento. La dipendenza funzionale del dirigente non puo' diventare dipendenza politica. Il dirigente e' sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudizio, ed in seguito a questo puo' essere allontanato. Ma non puo' essere messo in condizioni di precarieta' che consentano la decadenza senza garanzia del giusto procedimento»); che infatti, all'interno dell'attuale assetto normativo, sia stato delineato «un nuovo modulo di azione amministrativa che misura il rispetto del canone dell'efficienza alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, vendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarita' della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita» (cosi' testualmente ancora Corte cost. n. 103/2007): in tale contesto - prosegue la Corte costituzionale nella sentenza da ultimo citata - e' dunque evidente che «la previsione di una anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso impedisce che l'attivita' del dirigente possa espletarsi in conformita' al modello di azione sopra indicato»; che pertanto, anche nel rispetto dei principi del giusto procedimento di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (cosi' come modificata dalla legge 11 gennaio 2005 n. 15), sia assolutamente «indispensabile... che siano previste adeguate garanzie procedimentali nella valutazione dei risultati e dell'osservanza delle direttive ministeriali finalizzate alla adozione di un eventuale provvedimento di revoca dell'incarico per accertata responsabilita' dirigenziale» (cosi' testualmente ancora Corte cost. n. 103/2007 nonche', in precedenza, Corte cost. sentenza n. 193/2002 ed ordinanza n. 11/2002), in modo da consentire da un lato all'amministrazione di esternare le ragioni per le quali ritenga di non consentire la prosecuzione dell'espletamento dell'incarico fino alla scadenza contrattualmente prevista, nonche', dall'altro lato, al dirigente di far valere il proprio diritto di difesa in relazione a tali ragioni. Ritenuto che, dunque, alla luce delle suesposte considerazioni, la norma dell'art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2006, n. 286, si ponga in evidente contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione in quanto, «determinando una interruzione automatica del rapporto di ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine stabilito, viola, in carenza di garanzie procedimentali, gli indicati principi costituzionali e, in particolare, il principio di continuita' dell'azione amministrativa che e' strettamente correlato a quello di buon andamento dell'azione stessa» (cosi' testualmente, ancora una volta, C. cost. n. 103/2007, pronunciatasi sull'analogo meccanismo previsto dall'art. 3, comma 7, della legge n. 145/2002); che le suesposte considerazioni facciano apparire la questione di costituzionalita' della norma sopra citata non manifestamente infondata; che tale questione sia inoltre rilevante ai fu della decisione, in quanto, come gia' evidenziato, se da un lato la norma stessa dovrebbe necessariamente essere applicata al caso di specie (non rientrando il ricorrente tra i dirigenti di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 165/2001) e precluderebbe l'accoglimento della domanda in questa sede proposta in via d'urgenza di condanna dell'amministrazione reclamata alla reintegrazione del ricorrente nell'incarico dirigenziale a suo tempo conferitogli, pur in presenza dell'ulteriore requisito del c.d. periculum in mora (di cui si dira' appresso), dall'altro lato l'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' della norma stessa (nella parte in cui dispone per legge la cessazione anticipata ed automatica dell'incarico dirigenziale) renderebbe illegittimo il provvedimento di revoca dell'incarico, facendo sorgere in capo al ricorrente il diritto al ripristino dello stesso sino alla sua naturale scadenza; che della norma in esame, per come formulata, non siano inoltre prospettabili interpretazioni diverse costituzionalmente orientate che consentano al ricorrente di ottenere, a prescindere da una espressa pronuncia di incostituzionalita', la ricostituzione del rapporto e la riassegnazione dell'incarico; che cio' debba nella specie affermarsi nonostante la Corte costituzionale abbia da ultimo dichiarato incostituzionali (con le gia' citate sentenze n. 103 e 104 del 2007) altre disposizioni di legge che prevedevano meccanismi di spoils system analoghi a quello in questa sede in esame, non potendo il giudice che dubiti della costituzionalita' di una norma (che e' chiamato ad applicare) estendere di propria iniziativa il dictum della Corte su altra fattispecie ritenuta analoga a quella oggetto del proprio esame, dovendo necessariamente investire la Corte stessa della relativa valutazione; che per altro, nel sollevare la presente questione di legittimita' costituzionale, il tribunale non intenda certo investire la Corte costituzionale di un (inammissibile) sindacato sull'esercizio della discrezionalita' legislativa, bensi' della verifica circa la compatibilita' con i principi di cui agli artt. 97 e 98 della Costituzione del sopra descritto meccanismo di spoils system. Considerato che, inoltre, la risoluzione della questione di costituzionalita' in questa sede sollevata sia vieppiu' rilevante, nel caso di specie, avendo il ricorrente adeguatamente documentato, seppure ai fini di una cognizione necessariamente sommaria dei fatti di causa, propria di questa sede (con una serie di certificazioni specialistiche di un dermatologo, di un neurologo e di un cardiologo, con altrettante prescrizioni di farmaci nonche' con un parere medico legale a firma di uno specialista in medicina legale e delle assicurazioni), la sussistenza del requisito del periculum in mora, ovverosia di un nesso diretto di derivazione causale tra la privazione dell'incarico dirigenziale avvenuta in data 4 dicembre 2006 e le gravi patologie cliniche riscontrate dagli specialisti sopra citati (e mai presentatesi in precedenza), indicate quali «neurodermatite cronica e diffusa da stress, a carattere psoriasiforme... in terapia medica continua con parziale beneficio», «cardiopatia ipertensiva in terapia farmacologica», «sindrome ansioso-depressiva in psicofarmacoterapia continua» e «disturbo post-traumatico da stress»; che, in linea generale, il pregiudizio irreparabile previsto dall'art. 700 c.p.c. possa dirsi senza dubbio sussistente quando siano in discussione posizioni soggettive di carattere assoluto, principalmente attinenti alla sfera personale del soggetto (e spesso, come nel caso di specie, dotate di rilievo e protezione a livello costituzionale), che rendano necessario un pronto ed immediato intervento cautelare al fine di assicurarne la completa tutela ed evitarne l'irreparabilita'; che la sussistenza di tale profilo di periculum in mora esima logicamente dall'esaminare gli ulteriori profili di danno in questa sede paventato; Ritenuto infine che non sia d'ostacolo alla sollevabilita' della questione di costituzionalita' della norma in esame la circostanza che il presente giudizio sia stato introdotto con ricorso d'urgenza a art. 700 c.p.c. e non con ordinario ricorso a cognizione piena; che, al proposito, sia in questa sede opportuno ricordare: che, a norma dell'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. (nella nuova formulazione in vigore dal 1° marzo 2006), «l'ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l'inizio del giudizio di merito»; che, a norma del successivo comma 6, «le disposizioni di cui al presente articolo... non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 ed agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito..., ma ciascuna parte puo' iniziare il giudizio di merito»; che, a norma del successivo comma 7, «l'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia dei provvedimenti di cui al primo comma» (ovverosia dei provvedimenti di accoglimento); che infine, a norma dell'ultimo comma della norma in esame, «l'autorita' del provvedimento cautelare non e' invocabile in un diverso processo»; che, all'interno del nuovo assetto normativo conseguente alla recente entrata in vigore della gia' citata riforma del procedimento cautelare, sia stata in sostanza eliminata la necessita' della prosecuzione in sede di merito (gia' prevista a pena di perdita di efficacia del provvedimento cautelare favorevole ottenuto) della controversia introdotta con il ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. o con altri ricorsi cautelari volti comunque ad ottenere l'adozione di un provvedimento cautelare «idoneo ad anticipare gli effetti della decisione di merito», essendo stata piuttosto introdotta, in tal caso, la mera possibilita' per «ciascuna parte» (e dunque non piu' solo per il ricorrente) di iniziare il giudizio di merito (art. 669-octies, ultimi tre commi, c.p.c.); che dunque, in tale riformato contesto, il provvedimento anticipatorio ottenuto all'esito del giudizio cautelare introdotto con ricorso ex art. 700 c.p.c. sia potenzialmente produttivo di effetti equiparabili a quelli di un vero e proprio giudicato tra le parti (per il fenomeno della cd. ultrattivita' della tutela, tipica dell'istituto francese del refere' di cui agli artt. 808 e 809 del nouveau code de procedure civile), privando in tal modo la parte che abbia ottenuto il provvedimento favorevole dell'interesse ad ottenerne la conferma nell'ambito di un futuro giudizio di merito e spostando piuttosto sulla controparte soccombente l'onere di iniziare tale giudizio ove intenda ottenerne la riforma con sentenza; che tale regolamentazione degli istituti in esame risponda all'evidenza ad una duplice esigenza, rappresentata, da un lato, dall'opportunita' di potenziare e rendere piu' effettiva la tutela cautelare (rendendola potenzialmente definitiva) e, dall' altro, dalla necessita' di deflazionare il contenzioso a cognizione piena per tutte quelle questioni in ordine alle quali il provvedimento anticipatorio emesso dal giudice in via d'urgenza sia di per se' idoneo ad assicurare una piena tutela del diritto azionato; che di conseguenza, all'interno del mutato assetto normativo fin qui sinteticamente sunteggiato, non possa piu' condivisibilmente sostenersi una ontologica incompatibilita' tra la sede cautelare e la proposizione della questione di legittimita' costituzionale di una norma che il giudice della cautela - chiamato ad adottare una pronuncia potenzialmente definitiva tra le parti, al pari di una sentenza emessa all'esito di un giudizio a cognizione piena - sia chiamato in quella sede ad applicare.