IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa iscritta nel
ruolo  generale  dell'anno  2007  al  numero 34608, promossa da Bruno
Giovanni  (avv.  Luca Pardo), contro il Ministero delle comunicazioni
(Avvocatura   dello   Stato),   avente   ad   oggetto:   reclamo   ex
art. 669-terdecies  c.p.c. avverso l'ordinanza emessa dal giudice del
lavoro  di  questo  Tribunale  in  data  5  aprile  2007 nel giudizio
n. 251232/2007 R.G.A.C.
    Il Tribunale, a scioglimento della riserva di cui all'udienza del
28  giugno 2007, letti gli atti di causa, esaminata la documentazione
prodotta e viste le istanze ed eccezioni delle parti;
    Premesso  che  con  ricorso  del  16 maggio 2007 il ricorrente in
epigrafe  indicato  -  dirigente  viceprefetto aggiunto dal 17 giugno
2000   ai  sensi  dell'art. 34,  d.lgs.  n. 139/2000  -  ha  proposto
tempestivo  reclamo  avverso  l'ordinanza  in oggetto con la quale il
giudice  del  lavoro  di  questo tribunale, dallo stesso adito in via
d'urgenza con ricorso del 20 febbraio 2007, aveva respinto la domanda
volta   ad  ottenere  «l'immediata  reintegra  ...  nell'incarico  di
direttore  della  Direzione  generale  per i servizi di comunicazione
elettronica  e di radiodiffusione del Ministero delle comunicazioni»,
conferitogli con d.P.C.m. n. 3775/2005 del 25 novembre 2005, ai sensi
dell'art. 19,  comma  4  e 5-bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, «e
nel  relativo  contratto  individuale  di  lavoro»  stipulato  con il
predetto  Ministero  in  pari data per la durata di 5 anni e revocato
anticipatamente  con  comunicazione  del  Segretario  Generale  del 4
dicembre  2006 (in applicazione del disposto dell'art. 2, commi 159 e
161, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni in
legge  24 novembre 2006, n. 286, che, modificando l'art. 19, comma 8,
del  d.lgs.  30  marzo  2001,  n. 165, aveva introdotto una decadenza
automatica  dagli incarichi di funzione dirigenziale «di cui al comma
3,  al  comma  5-bis,  limitatamente al personale non appartenente ai
ruoli  di  cui  all'art.  23 ed al comma 6», i quali «cessano decorsi
novanta  giorni dal voto sulla fiducia al Governo», nonche', «in sede
di  prima  applicazione»  della norma sopra modificata, una decadenza
una tantum degli incarichi dirigenziali conferiti prima del 17 maggio
2006  «ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto»);
        che,  a  sostegno  del  reclamo, il ricorrente ha in sostanza
riproposto  gli  stessi motivi gia' indicati in ricorso in ordine sia
al  fumus  boni  juris  (per  altro ritenuto sussistente dallo stesso
giudice reclamato) che al periculum in mora;
        che in particolare il predetto, quanto al requisito del fumus
boni  juris, ha innanzi tutto ribadito l'inapplicabilita' nel caso di
specie della norma dell'art. 2, commi 159 e 161 del d.l. n. 262/2006,
sostenendo  di  far parte dei dirigenti appartenenti «ai ruoli di cui
all'art. 23»  del  predetto d.lgs. n. 165/2001 (espressamente esclusi
dall'ambito di applicabilita' della decadenza automatica in esame);
        che  lo  stesso  ha  in  ogni caso contestato la legittimita'
della  revoca in questione «poiche' priva di qualsivoglia valutazione
e  motivazione  della  scelta  del  Ministero  di serbare il silenzio
giovandosi  degli  effetti  dello stesso» derivanti dall'applicazione
dell'art. 2,  comma  161,  del gia' citato d.l. n. 262/2006, con cio'
violando,  tra  l'altro,  i  principi di cui agli artt. 97 e 98 della
Costituzione   ed   «adombrando   il   sospetto   di   illegittimita'
costituzionale   della  previsione  normativa»  in  questione  (cosi'
testualmente  nel  ricorso  ex art. 700 c.p.c.), cosi' come per altro
affermato,  da  ultimo,  dalla  sentenza  della  Corte costituzionale
n. 103/2007  del 19 marzo 2007, che aveva dichiarato incostituzionale
la  norma  dell'art. 3,  comma  7, della legge 15 luglio 2002, n. 145
(contenente un meccanismo di spoils system del tutto analogo a quello
in questa sede in esame);
        che,  infine,  il  ricorrente ha sostenuto la sussistenza del
requisito  del  cd.  periculum in mora sotto i profili del danno alla
carriera  ed  all'immagine,  del  danno patrimoniale e del danno alla
salute;
        che,   instauratosi   ritualmente   il   contraddittorio,  il
Ministero delle comunicazioni si e' nuovamente costituito in giudizio
ed   ha   invocato   il   rigetto   dell'avverso  reclamo,  ribadendo
l'insussistenza  di  entrambi  i requisiti di legge per l'ottenimento
del provvedimento d'urgenza richiesto;
        che  parte  reclamata,  quanto  in  particolare al fumus boni
juris,  ha  sostenuto:  - la piena applicabilita' al ricorrente della
norma  dell'art. 2,  comma  159,  del  d.l. n. 262/2006, facendo egli
parte  del  c.d.  «personale  in regime di diritto pubblico» ai sensi
dell'art. 3  del  d.lgs. n. 165/2001 (la cui disciplina e' dettata in
linea   generale   dal  d.lgs.  n. 139/2000,  cosi'  come  modificato
dall'art. 7  del  d.l. n. 83/2002, convertito in legge n. 133/2002) e
non  rientrando,  pertanto,  all'interno  dei  ruoli dirigenziali del
Ministero  dell'interno  ex  art. 23 del d.lgs. n. 165/2001; - la non
estensibilita'  del  dictum  della  Corte Costituzionale sull'art. 3,
comma  7,  della  legge  15 luglio 2002, n. 145, al caso di specie; -
l'incompatibilita'   del  giudizio  cautelare  con  il  vaglio  delle
questioni di legittimita' costituzionale;
    Rilevato che, a norma dell'art. 700 c.p.c., costituisce requisito
di  ammissibilita'  della  domanda di provvedimento atipico d'urgenza
l'esistenza  di  un  «fondato  motivo di temere che, durante il tempo
occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia
minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile»;
        che  il  ricorrente  e'  un  dirigente  viceprefetto aggiunto
all'interno   dell'unitaria  carriera  prefettizia  (ai  sensi  degli
artt. 1, 2 e 34 del d.lgs. n. 139/2000);
        che  lo  stesso ha ottenuto, con d.P.C.m. n. 3775/2005 del 25
novembre  2005  ed ai sensi dell'art. 19, comma 4 e 5-bis, del d.lgs.
30  marzo  2001,  n. 165,  il conferimento dell'incarico di direttore
della Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e
di radiodiffusione del Ministero delle comunicazioni per la durata di
5 anni;
        che,  in  relazione  a  tale  incarico,  e'  stato  posto «in
aspettativa  senza  assegni  con  riconoscimento  dell'anzianita'  di
servizio»  con  decreto  del  capo  del  Dipartimento  per gli affari
interni e territoriali dell'8 maggio 2006;
        che, con comunicazione del segretario generale del 4 dicembre
2006,  l'incarico  in questione gli e' stato anticipatamente revocato
«con  decorrenza immediata» in applicazione del disposto dell'art. 2,
commi  159  e  161,  del  d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con
modificazioni in legge 24 novembre 2006, n. 286;
    Atteso  che,  a  norma dell'art. 19, comma 8, del d.lgs. 30 marzo
2001,  n. 165  (cosi'  come  modificato art. 2, comma 159, del d.l. 3
ottobre  2006,  n. 262,  convertito  con  modificazioni  in  legge 24
novembre  2006,  n. 286),  «gli  incarichi  di direzione degli uffici
dirigenziali  di  cui al comma 3» (c.d. incarichi apicali), «al comma
5-bis,  limitatamente  al  personale non appartenente ai ruoli di cui
all'art.  23» (c.d. ruolo unico della dirigenza statale), «e al comma
6, cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo»;
        che  inoltre,  a  norma  dell'art. 2, comma 161, del predetto
d.l.  n. 262/2006, «in sede di prima applicazione dell'art. 19, comma
8,  del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato ed
integrato  dai  commi  159 e 160 del presente articolo, gli incarichi
ivi  previsti,  conferiti  prima  del 17 maggio 2006, cessano ove non
confermati  entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto (...)»;
        che  infine,  ai  sensi  dell'art. 3,  comma  1,  del  d.lgs.
n. 165/2001,  il  personale  appartenente  alla  carriera prefettizia
resta  disciplinato  dal proprio ordinamento pubblicistico, in deroga
alle  disposizioni  sulla  cd. privatizzazione o contrattualizzazione
del rapporto di lavoro dei dipendenti, anche di livello dirigenziale,
delle  amministrazioni  dello Stato e degli altri enti ed istituzioni
di cui all'art. 2 del medesimo decreto;
    Ritenuto che, alla luce del chiaro disposto della norma da ultimo
citata,  l'odierno  ricorrente non possa condivisibilmente sostenere,
in questa sede, di far parte del «personale ... appartenente ai ruoli
di cui all'articolo 23» del predetto d.lgs. n. 165/2001 del Ministero
dell'interno  ai  fini  dell'esclusione  dall'ambito  di applicazione
della  norma  del  sopra  citato  art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3
ottobre  2006  n. 262  (convertito  con  modificazioni  in  legge  24
novembre  2006 n. 286), riguardando tale norma unicamente i dirigenti
cd.  contrattualizzati  (gia'  appartenenti  al cd. ruolo unico della
dirigenza statale, soppresso dalla legge n. 145/2002) ed appartenendo
egli,  viceversa, alla diversa categoria dei dirigenti della unitaria
carriera     prefettizia,    che,    pur    rientrante    nell'ambito
dell'amministrazione dell'interno, e' autonoma rispetto ad essa e «si
articola  nelle  qualifiche  di prefetto, viceprefetto e viceprefetto
aggiunto»  (cosi'  l'art. 2,  comma 1 del d.lgs. n. 139/2000 nonche',
per  la  disciplina  transitoria,  l'art. 34  del  medesima decreto),
restando  disciplinata dal proprio ordinamento pubblicistico (a norma
del gia' citato art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001);
        che,   a   conferma   della   correttezza   della   suesposta
conclusione,  ben  possa inoltre richiamarsi il disposto dell'art. 15
del d.lgs. n. 165/2001, il quale, nel prevedere l'articolazione della
dirigenza  contrattualizzata nelle due fasce del suddetto ruolo unico
(ed  ora  dei distinti ruoli dei singoli Ministeri), ha espressamente
previsto  la salvezza delle particolari disposizioni concernenti, tra
l'altro, la carriera prefettizia;
        che pertanto, anche ove sia stato chiamato a ricoprire - come
nella    specie   -   un   incarico   nei   ruoli   della   dirigenza
contrattualizzata  ai  sensi  dell'art. 19,  comma  5-bis, del d.lgs.
n. 165/2001,  il dirigente della carriera prefettizia mantenga sempre
il  proprio  particolare  status  pubblicistico  (anche  in  punto di
sistema   di  progressione  ed  avanzamento  in  carriera),  che  gli
impedisce,   per   quanto   in   questa   sede  occupa,  di  ottenere
l'equiparazione   ai   dirigenti   contrattualizzati  ai  fini  della
inapplicabilita'  del  meccanismo  di  spoils system introdotto dalla
norma sopra citata;
    Considerato  che  tuttavia la norma dell'art. 2, commi 159 e 161,
del  d.l.  3  ottobre  2006,  n. 262 (convertito con modificazioni in
legge   24   novembre   2006,   n. 286),   modificando   il  disposto
dell'art. 19,  comma 8, del d.lgs. n. 165/2001 ed introducendo, anche
per gli incarichi di funzioni dirigenziali di cui al comma 5-bis (che
in   questa  sede  occupa)  un  meccanismo  di  decadenza  automatica
dall'incarico  dirigenziale (analogo a quello introdotto dall'art. 3,
comma  7  della  legge  n. 145/2002,  per  gli  incarichi di funzioni
dirigenziali  di  livello generale), si ponga in palese contrasto con
il  disposto  dell'art. 21 del medesimo decreto, a norma del quale la
revoca  dell'incarico  dirigenziale  puo'  avvenire solo all'esito di
apposita procedura di rilevamento della responsabilita' dirigenziale,
da  effettuarsi  con  i  sistemi  e le garanzie di cui all'art. 5 del
d.lgs.   n. 286/1999,   vale   a  dire  attraverso  la  verifica  del
raggiungimento  o  meno,  da  parte  del  dirigente,  degli obiettivi
fissati  al  momento  del  conferimento  dell'incarico stesso (di cui
all'art. 19,  comma 2,del medesimo decreto), ovvero dell'osservanza o
meno delle direttive ricevute dall'organo politico;
        che  la Corte costituzionale, gia' con la sentenza n. 313 del
1996,  abbia avuto modo di affermare che la c.d. contrattualizzazione
della  dirigenza  non  consenta alla p.a. di recedere liberamente dal
rapporto  instaurato  con  un  dirigente non generale, in quanto cio'
comporterebbe  l'instaurazione di un rapporto strettamente fiduciario
tra le parti che non consentirebbe al dirigente stesso di svolgere in
modo   autonomo   ed   imparziale   la  propria  attivita'  gestoria,
ontologicamente  funzionalizzata al rispetto dei principi generali di
imparzialita'  e  buon  andamento  dell'azione  amministrativa di cui
all'art. 97 Cost.;
        che  tale  affermazione  di principio ben possa estendersi al
rapporto  instauratosi  tra  la  p.a.  e  un dirigente cui sia stato,
affidato,  come  nella  specie, un incarico di livello immediatamente
superiore;
        che   inoltre   anche   il   rapporto   di  ufficio,  pur  se
caratterizzato, come nella specie, dalla temporaneita' dell'incarico,
«debba   essere   connotato   da   specifiche   garanzie,   le  quali
presuppongono  che  esso  sia  regolato in modo tale da assicurare la
tendenziale  continuita'  dell'azione  amministrativa  e  una  chiara
distinzione     funzionale     tra    i    compiti    di    indirizzo
politico-amministrativo  e  quelli  di  gestione» (cosi' testualmente
Corte  cost.  23  marzo 2007 n. 103, la quale ha da ultimo dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  del  sopra  citato art. 3, comma 7,
della  legge  n. 145/2002,  nella  parte  in  cui  disponeva  che gli
incarichi  di  funzioni  dirigenziali  di livello generale cessassero
automaticamente  «il  sessantesimo  giorno  dalla  data di entrata in
vigore» della legge stessa. In senso analogo si veda pure Corte cost.
23  marzo  2007  n. 104,  la quale, nel dichiarare costituzionalmente
illegittime  le  disposizioni  introdotte  dalla  regione  Lazio  con
riguardo all'estinzione del rapporto di lavoro dei dirigenti generali
delle  aziende  sanitarie  locali,  ha confermato che il rispetto dei
principi   di   imparzialita'   e   di   buon  andamento  dell'azione
amministrazione  esigono che «la posizione del direttore generale sia
circondata  da  garanzie; in particolare che la decisione dell'organo
politico   relativa  alla  cessazione  anticipata  dall'incarico  del
direttore  generale di aziende sanitarie locali rispetti il principio
del  giusto  procedimento. La dipendenza funzionale del dirigente non
puo'  diventare  dipendenza politica. Il dirigente e' sottoposto alle
direttive  del  vertice  politico  e al suo giudizio, ed in seguito a
questo   puo'  essere  allontanato.  Ma  non  puo'  essere  messo  in
condizioni  di precarieta' che consentano la decadenza senza garanzia
del giusto procedimento»);
        che  infatti, all'interno dell'attuale assetto normativo, sia
stato  delineato «un nuovo modulo di azione amministrativa che misura
il rispetto del canone dell'efficienza alla luce dei risultati che il
dirigente  deve  perseguire,  nel  rispetto degli indirizzi posti dal
vertice  politico, vendo a disposizione un periodo di tempo adeguato,
modulato  in  ragione  della  peculiarita'  della  singola  posizione
dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita»
(cosi' testualmente ancora Corte cost. n. 103/2007): in tale contesto
-  prosegue la Corte costituzionale nella sentenza da ultimo citata -
e' dunque evidente che «la previsione di una anticipata cessazione ex
lege  del  rapporto  in corso impedisce che l'attivita' del dirigente
possa espletarsi in conformita' al modello di azione sopra indicato»;
        che  pertanto,  anche  nel  rispetto  dei principi del giusto
procedimento  di  cui  alla  legge  7 agosto 1990, n. 241 (cosi' come
modificata  dalla  legge  11  gennaio  2005 n. 15), sia assolutamente
«indispensabile...    che    siano    previste    adeguate   garanzie
procedimentali  nella  valutazione  dei  risultati  e dell'osservanza
delle   direttive   ministeriali  finalizzate  alla  adozione  di  un
eventuale   provvedimento   di  revoca  dell'incarico  per  accertata
responsabilita'  dirigenziale» (cosi' testualmente ancora Corte cost.
n. 103/2007  nonche', in precedenza, Corte cost. sentenza n. 193/2002
ed   ordinanza   n. 11/2002),  in  modo  da  consentire  da  un  lato
all'amministrazione  di  esternare le ragioni per le quali ritenga di
non  consentire  la prosecuzione dell'espletamento dell'incarico fino
alla scadenza contrattualmente prevista, nonche', dall'altro lato, al
dirigente  di  far valere il proprio diritto di difesa in relazione a
tali ragioni.
    Ritenuto  che,  dunque, alla luce delle suesposte considerazioni,
la  norma  dell'art. 2,  commi  159  e  161,  del d.l. 3 ottobre 2006
n. 262,  convertito  con  modificazioni  in  legge  24 novembre 2006,
n. 286,  si  ponga  in evidente contrasto con gli artt. 97 e 98 della
Costituzione in quanto, «determinando una interruzione automatica del
rapporto  di  ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine
stabilito, viola, in carenza di garanzie procedimentali, gli indicati
principi   costituzionali   e,   in   particolare,  il  principio  di
continuita'  dell'azione amministrativa che e' strettamente correlato
a  quello  di buon andamento dell'azione stessa» (cosi' testualmente,
ancora  una  volta,  C. cost. n. 103/2007, pronunciatasi sull'analogo
meccanismo previsto dall'art. 3, comma 7, della legge n. 145/2002);
        che   le   suesposte   considerazioni  facciano  apparire  la
questione   di   costituzionalita'   della  norma  sopra  citata  non
manifestamente infondata;
        che   tale  questione  sia  inoltre  rilevante  ai  fu  della
decisione,  in  quanto, come gia' evidenziato, se da un lato la norma
stessa  dovrebbe  necessariamente  essere applicata al caso di specie
(non  rientrando il ricorrente tra i dirigenti di cui all'art. 23 del
d.lgs.  n. 165/2001)  e precluderebbe l'accoglimento della domanda in
questa    sede    proposta    in    via    d'urgenza    di   condanna
dell'amministrazione  reclamata  alla  reintegrazione  del ricorrente
nell'incarico  dirigenziale a suo tempo conferitogli, pur in presenza
dell'ulteriore  requisito del c.d. periculum in mora (di cui si dira'
appresso),    dall'altro    lato    l'eventuale    dichiarazione   di
incostituzionalita'  della  norma  stessa (nella parte in cui dispone
per  legge  la  cessazione  anticipata  ed  automatica  dell'incarico
dirigenziale)  renderebbe  illegittimo  il  provvedimento  di  revoca
dell'incarico,  facendo  sorgere  in capo al ricorrente il diritto al
ripristino dello stesso sino alla sua naturale scadenza;
        che  della  norma  in  esame,  per  come formulata, non siano
inoltre   prospettabili  interpretazioni  diverse  costituzionalmente
orientate  che consentano al ricorrente di ottenere, a prescindere da
una  espressa pronuncia di incostituzionalita', la ricostituzione del
rapporto e la riassegnazione dell'incarico;
        che  cio'  debba  nella specie affermarsi nonostante la Corte
costituzionale  abbia  da  ultimo dichiarato incostituzionali (con le
gia'  citate  sentenze  n. 103  e 104 del 2007) altre disposizioni di
legge  che  prevedevano meccanismi di spoils system analoghi a quello
in  questa  sede  in  esame,  non potendo il giudice che dubiti della
costituzionalita'  di  una  norma  (che  e'  chiamato  ad  applicare)
estendere  di  propria  iniziativa  il  dictum  della  Corte su altra
fattispecie  ritenuta  analoga  a  quella  oggetto del proprio esame,
dovendo  necessariamente  investire  la  Corte  stessa della relativa
valutazione;
        che  per  altro,  nel  sollevare  la  presente  questione  di
legittimita' costituzionale, il tribunale non intenda certo investire
la    Corte    costituzionale   di   un   (inammissibile)   sindacato
sull'esercizio   della  discrezionalita'  legislativa,  bensi'  della
verifica  circa la compatibilita' con i principi di cui agli artt. 97
e  98  della  Costituzione  del  sopra descritto meccanismo di spoils
system.
    Considerato  che,  inoltre,  la  risoluzione  della  questione di
costituzionalita'  in  questa  sede sollevata sia vieppiu' rilevante,
nel  caso  di specie, avendo il ricorrente adeguatamente documentato,
seppure  ai fini di una cognizione necessariamente sommaria dei fatti
di  causa,  propria  di  questa sede (con una serie di certificazioni
specialistiche di un dermatologo, di un neurologo e di un cardiologo,
con  altrettante prescrizioni di farmaci nonche' con un parere medico
legale  a  firma  di  uno  specialista  in  medicina  legale  e delle
assicurazioni),  la  sussistenza del requisito del periculum in mora,
ovverosia   di  un  nesso  diretto  di  derivazione  causale  tra  la
privazione  dell'incarico  dirigenziale  avvenuta  in data 4 dicembre
2006  e  le  gravi  patologie  cliniche riscontrate dagli specialisti
sopra  citati  (e  mai  presentatesi  in  precedenza), indicate quali
«neurodermatite   cronica   e   diffusa   da   stress,   a  carattere
psoriasiforme...  in terapia medica continua con parziale beneficio»,
«cardiopatia   ipertensiva   in   terapia  farmacologica»,  «sindrome
ansioso-depressiva   in  psicofarmacoterapia  continua»  e  «disturbo
post-traumatico da stress»;
        che,  in linea generale, il pregiudizio irreparabile previsto
dall'art. 700  c.p.c.  possa  dirsi  senza  dubbio sussistente quando
siano  in  discussione  posizioni  soggettive  di carattere assoluto,
principalmente attinenti alla sfera personale del soggetto (e spesso,
come  nel  caso  di  specie, dotate di rilievo e protezione a livello
costituzionale),  che  rendano  necessario  un  pronto  ed  immediato
intervento  cautelare  al  fine  di assicurarne la completa tutela ed
evitarne l'irreparabilita';
        che la sussistenza di tale profilo di periculum in mora esima
logicamente  dall'esaminare  gli ulteriori profili di danno in questa
sede paventato;
    Ritenuto  infine che non sia d'ostacolo alla sollevabilita' della
questione  di  costituzionalita'  della norma in esame la circostanza
che il presente giudizio sia stato introdotto con ricorso d'urgenza a
art. 700 c.p.c. e non con ordinario ricorso a cognizione piena;
        che,  al  proposito,  sia in questa sede opportuno ricordare:
che,  a  norma  dell'art. 669-octies,  comma  1,  c.p.c. (nella nuova
formulazione   in   vigore   dal  1°  marzo  2006),  «l'ordinanza  di
accoglimento,  ove  la  domanda  sia stata proposta prima dell'inizio
della  causa  di  merito,  deve  fissare  un  termine  perentorio non
superiore  a  sessanta  giorni  per l'inizio del giudizio di merito»;
che,  a  norma  del  successivo  comma  6, «le disposizioni di cui al
presente  articolo...  non  si  applicano ai provvedimenti di urgenza
emessi  ai  sensi dell'art. 700 ed agli altri provvedimenti cautelari
idonei  ad  anticipare  gli  effetti  della sentenza di merito..., ma
ciascuna parte puo' iniziare il giudizio di merito»; che, a norma del
successivo   comma  7,  «l'estinzione  del  giudizio  di  merito  non
determina  l'inefficacia  dei  provvedimenti  di  cui al primo comma»
(ovverosia  dei  provvedimenti  di accoglimento); che infine, a norma
dell'ultimo   comma   della   norma   in   esame,   «l'autorita'  del
provvedimento cautelare non e' invocabile in un diverso processo»;
        che, all'interno del nuovo assetto normativo conseguente alla
recente  entrata in vigore della gia' citata riforma del procedimento
cautelare,  sia  stata  in  sostanza  eliminata  la  necessita' della
prosecuzione  in  sede  di merito (gia' prevista a pena di perdita di
efficacia  del  provvedimento  cautelare  favorevole  ottenuto) della
controversia introdotta con il ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. o
con  altri ricorsi cautelari volti comunque ad ottenere l'adozione di
un  provvedimento  cautelare  «idoneo ad anticipare gli effetti della
decisione  di  merito»,  essendo  stata  piuttosto introdotta, in tal
caso,  la  mera  possibilita' per «ciascuna parte» (e dunque non piu'
solo   per   il   ricorrente)  di  iniziare  il  giudizio  di  merito
(art. 669-octies, ultimi tre commi, c.p.c.);
        che  dunque,  in  tale  riformato  contesto, il provvedimento
anticipatorio  ottenuto  all'esito  del giudizio cautelare introdotto
con  ricorso  ex  art. 700  c.p.c.  sia  potenzialmente produttivo di
effetti  equiparabili  a quelli di un vero e proprio giudicato tra le
parti  (per  il fenomeno della cd. ultrattivita' della tutela, tipica
dell'istituto  francese  del  refere' di cui agli artt. 808 e 809 del
nouveau  code de procedure civile), privando in tal modo la parte che
abbia   ottenuto   il   provvedimento  favorevole  dell'interesse  ad
ottenerne  la  conferma nell'ambito di un futuro giudizio di merito e
spostando piuttosto sulla controparte soccombente l'onere di iniziare
tale giudizio ove intenda ottenerne la riforma con sentenza;
        che  tale  regolamentazione  degli istituti in esame risponda
all'evidenza  ad  una  duplice  esigenza,  rappresentata, da un lato,
dall'opportunita'  di  potenziare  e rendere piu' effettiva la tutela
cautelare  (rendendola  potenzialmente  definitiva)  e,  dall' altro,
dalla  necessita'  di  deflazionare il contenzioso a cognizione piena
per  tutte  quelle  questioni  in  ordine alle quali il provvedimento
anticipatorio  emesso  dal  giudice  in  via d'urgenza sia di per se'
idoneo ad assicurare una piena tutela del diritto azionato;
        che  di conseguenza, all'interno del mutato assetto normativo
fin  qui sinteticamente sunteggiato, non possa piu' condivisibilmente
sostenersi una ontologica incompatibilita' tra la sede cautelare e la
proposizione  della  questione  di legittimita' costituzionale di una
norma  che  il  giudice  della  cautela  -  chiamato  ad adottare una
pronuncia  potenzialmente  definitiva  tra  le  parti, al pari di una
sentenza  emessa  all'esito  di  un giudizio a cognizione piena - sia
chiamato in quella sede ad applicare.